Mimmo
Epifani
Mandolinate on the road
di: Serena Di Sevo
È la notte del
13 aprile 2014. Si è appena concluso il concerto di Anteprima
dell'ormai storico appuntamneto estivo con il Festival degli Antichi
Suoni nel borgo medievale di Novi Velia in provincia di Salerno.
L'esibizione di Mimmo Epifani, unitamente all'uscita del suo nuovo
disco “Pe I Ndò” è l'occasione per scambiare due chiacchiere
con il virtuoso del mandolino e della mandola nato a San Vito dei Normanni, paese in cui si presume sia nata la pizzica e la taranta, che a partire dalla
passione per le tradizioni popolari ha creato nel tempo un sound
composito e moderno, contaminando il suono del mandolino con
esperienze musicali diverse: jazz, raggae e ritmi ska e diventando
musicista internazionale con una forte tendenza all'indipendenza e
all'esplorazione musicale. Sempre in viaggio, Mimmo Epifani ha
collaborato con Roberto De Simone, Eugenio Bennato, Ambrogio
Sparagna, Acquaragia Drom, Navegante, Avion Travel e negli ultimi
anni tra i principali protagonisti della Notte della Taranta.
Parliamo innanzitutto di te. Sei
pugliese, ma sei un viaggiatore, un esploratore di culture diverse. Chi
è Mimmo Epifani?
Non sono un viaggiatore di natura ma è
stata la musica che mi ha portato a viaggiare e soprattutto il mio
strumento, il mandolino, che mi spinto a farlo conoscere in giro per
il mondo, insieme allo spirito, alla curiosità di conoscere posti
nuovi, cibi nuovi, sapori. Uno strumento ti spinge a vivere
esperienze sempre nuove, ad incontrare persone, musicisti che poi
porti con te quando torni a casa...Se mi trovo in Marocco penso: “Chi
ci ritorna più in Marocco?”. E allora faccio la mia musica e ci
metto un po' di Marocco dentro, per ricordarmi di quel viaggio, di
quell'esperienza.
Il tuo ultimo lavoro discografico si
chiama “Pe I Ndò”. Raccontaci come è nato, del suo significato.
Il disco parla del viaggio, del partire
e del ritornare, della viandanza, delle radici, dell'appartenenza. Il
titolo viene da una poesia del mio caro amico Raffaele Marchetti a
cui ero molto legato e che purtroppo non c'è più. “Pe I Ndò”
significa “per andare dove” ed è la domanda che Raffaele poneva
ai ragazzi che vedeva partire, lasciare la propria casa alla ricerca
di un lavoro o per inseguire un sogno. Ma per andare dove? Si
chiedeva Raffaele, perché andate là quando qui a casa vostra potete
fare delle cose? Il disco è stato registrato nel paese di Raffaele,
Giulianello.
Spiegaci come lavori. Ti senti più
uno studioso, un ricercatore o un musicista d'ispirazione?
Io
non nasco come un compositore, credo che nessuno nasca compositore,
io nasco come musicista, anzi, come un allievo barbiere: ho impararto
a suonare il mio strumento in una barberia a San Vito dei Normanni in
provincia di Brindisi, dove si tenevano lezioni di mandolino ma anche
di chitarra e fisarmonica dai
maestri Costantino Vita, barbiere e musicista, e "Maestro"
Peppu D'Augusta.
Ero andato da questo barbiere per imparare un mestiere e ho appreso
le canzoni e le melodie che accompagnavano il lavoro, però erano
delle musiche specifiche, che si suonavano solo in quel contesto, e
che creavano un'arte dal repertorio molto limitato. Ecco...solo dopo
aver appreso quell'arte, ho cominciato a comporre.
Quale credi sia il futuro della
musica popolare? Che strada dovrebbe prendere? Cercare nuove strade,
nuovi temi, o andare sempre più indietro radicalizzando così la sua vocazione “archeologica”?
Più che della
musica popolare io parlerei delle strade che devono prendere i
musicisti per creare questa magia. Dovrebbero prima imparare come si
suona e come si suonava originariamente uno strumento, dovrebbero
andare dalle persone anziane, vedere come vivono, capire come
vivevano e solo a questo punto presentare la loro esperienza su un
palco con le dovute contaminazioni della modernità. Questa è la
strada della musica popolare. Ormai prendiamo spunto dai balcani,
spunto da qua e da là ed è un gran macello. Ricercare le proprie
origini è fondamentale per i musicisti che si avvicinano a strumenti
tradizionali come la chitarra battente, l'organetto o il mandolino.
Non bisogna necessariamente rimanere ancorati all'utilizzo dello
strumento così com'era nell'800, come non possiamo parlare un
dialetto o una lingua che si parlava 200 anni fa e non possiamo
vestirci come 100 anni fa, semplicemente bisogna avvicinarsi al
passato e agli strumenti tradizionali con rispetto.
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