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venerdì 18 aprile 2014




Mimmo Epifani
Mandolinate on the road
di: Serena Di Sevo 


È la notte del 13 aprile 2014. Si è appena concluso il concerto di Anteprima dell'ormai storico appuntamneto estivo con il Festival degli Antichi Suoni nel borgo medievale di Novi Velia in provincia di Salerno. L'esibizione di Mimmo Epifani, unitamente all'uscita del suo nuovo disco “Pe I Ndò” è l'occasione per scambiare due chiacchiere con il virtuoso del mandolino e della mandola nato a San Vito dei Normanni, paese in cui si presume sia nata la pizzica e la taranta, che a partire dalla passione per le tradizioni popolari ha creato nel tempo un sound composito e moderno, contaminando il suono del mandolino con esperienze musicali diverse: jazz, raggae e ritmi ska e diventando musicista internazionale con una forte tendenza all'indipendenza e all'esplorazione musicale. Sempre in viaggio, Mimmo Epifani ha collaborato con Roberto De Simone, Eugenio Bennato, Ambrogio Sparagna, Acquaragia Drom, Navegante, Avion Travel e negli ultimi anni tra i principali protagonisti della Notte della Taranta.

Parliamo innanzitutto di te. Sei pugliese, ma sei un viaggiatore, un esploratore di culture diverse. Chi è Mimmo Epifani?

Non sono un viaggiatore di natura ma è stata la musica che mi ha portato a viaggiare e soprattutto il mio strumento, il mandolino, che mi spinto a farlo conoscere in giro per il mondo, insieme allo spirito, alla curiosità di conoscere posti nuovi, cibi nuovi, sapori. Uno strumento ti spinge a vivere esperienze sempre nuove, ad incontrare persone, musicisti che poi porti con te quando torni a casa...Se mi trovo in Marocco penso: “Chi ci ritorna più in Marocco?”. E allora faccio la mia musica e ci metto un po' di Marocco dentro, per ricordarmi di quel viaggio, di quell'esperienza. 

Il tuo ultimo lavoro discografico si chiama “Pe I Ndò”. Raccontaci come è nato, del suo significato.

Il disco parla del viaggio, del partire e del ritornare, della viandanza, delle radici, dell'appartenenza. Il titolo viene da una poesia del mio caro amico Raffaele Marchetti a cui ero molto legato e che purtroppo non c'è più. “Pe I Ndò” significa “per andare dove” ed è la domanda che Raffaele poneva ai ragazzi che vedeva partire, lasciare la propria casa alla ricerca di un lavoro o per inseguire un sogno. Ma per andare dove? Si chiedeva Raffaele, perché andate là quando qui a casa vostra potete fare delle cose? Il disco è stato registrato nel paese di Raffaele, Giulianello.

Spiegaci come lavori. Ti senti più uno studioso, un ricercatore o un musicista d'ispirazione?

Io non nasco come un compositore, credo che nessuno nasca compositore, io nasco come musicista, anzi, come un allievo barbiere: ho impararto a suonare il mio strumento in una barberia a San Vito dei Normanni in provincia di Brindisi, dove si tenevano lezioni di mandolino ma anche di chitarra e fisarmonica dai maestri Costantino Vita, barbiere e musicista, e "Maestro" Peppu D'Augusta. Ero andato da questo barbiere per imparare un mestiere e ho appreso le canzoni e le melodie che accompagnavano il lavoro, però erano delle musiche specifiche, che si suonavano solo in quel contesto, e che creavano un'arte dal repertorio molto limitato. Ecco...solo dopo aver appreso quell'arte, ho cominciato a comporre.

Quale credi sia il futuro della musica popolare? Che strada dovrebbe prendere? Cercare nuove strade, nuovi temi, o andare sempre più indietro radicalizzando così la sua vocazione “archeologica”?

Più che della musica popolare io parlerei delle strade che devono prendere i musicisti per creare questa magia. Dovrebbero prima imparare come si suona e come si suonava originariamente uno strumento, dovrebbero andare dalle persone anziane, vedere come vivono, capire come vivevano e solo a questo punto presentare la loro esperienza su un palco con le dovute contaminazioni della modernità. Questa è la strada della musica popolare. Ormai prendiamo spunto dai balcani, spunto da qua e da là ed è un gran macello. Ricercare le proprie origini è fondamentale per i musicisti che si avvicinano a strumenti tradizionali come la chitarra battente, l'organetto o il mandolino. Non bisogna necessariamente rimanere ancorati all'utilizzo dello strumento così com'era nell'800, come non possiamo parlare un dialetto o una lingua che si parlava 200 anni fa e non possiamo vestirci come 100 anni fa, semplicemente bisogna avvicinarsi al passato e agli strumenti tradizionali con rispetto.

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