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mercoledì 28 settembre 2011

ANOTHER YEAR: BELLEZZA, PRECARIETÀ E TORTURA DELLE RELAZIONI UMANE







DI: MIKE LEIGH - GRAN BRETAGNA - 2011


Mike Leigh ci aveva lasciato con Happy go lucky e la sua frizzante e ottimista protagonista (Poppy), un film che aveva suscitato un entusiasmo che non ho potuto pienamente condividere. Un andamento piatto, un fare svogliato e una direzione inconcludente sono elementi soltanto parzialmente controbilanciati dal realismo della narrazione e da personaggi ben congegnati. Nel film del 2008 è possibile intravedere un prezioso antecedente a questo nuovo lavoro di Leigh, in cui ritroviamo il medesimo interesse per una ricerca minuziosa sulla natura umana e le forme che essa assume nel "sociale". Another year è tutto costruito sulla pacata coppia di sessantenni Tom e Jerry, ingegnere geologo lui, psicologa lei, messi al centro a fare da pilastri ad una strampalata galleria di personaggi disperatamente "scoppiati". Si comincia con la tenera vecchietta insonne (Imelda Staunton, gVera Drake) a causa di una vita inaridita di sentimenti e di volontà; un personaggio "da fare" perché lasciato lì, al principio del film, a fare da prologo. Un prologo che sembra recitare: "una paziente che chiede aiuto sta ad una psicologa come un amico in difficoltà sta ad un amico con una vita perfetta". Si parte con la nevrotica, logorroica e infantile passaguai Mary, collega di Jerry, single con il vizio dell'alcool, versione femminile del vecchio amico di Tom, Ken, timido e pacato, tabagista acciaccato logorato dalla solitudine. Si prosegue con i parenti di Tom: il fratello Ronnie, tenero e silenzioso, colpito dalla perdita della moglie e suo figlio dall'ingestibile aggressività. Per loro nulla va come dovrebbe andare, per loro l'appartamento di Tom e Jerry è un rifugio in cui trovare riparo e qualcuno con cui parlare. La disperata ricerca di un contatto, di un confronto, e di una partecipazione ad una vita che non si avrà mai, porta Mary a camminare sempre in quella direzione, a sognare una amore "proibito" con Joe, il figlio di Jerry e Tom. Come in Happy go lucky, essere felici porta fortuna, ma qui, a differenza della sincera bonarietà di Poppy, c'è dell'amaro nella supponenza con cui Tom e Jerry usano i loro amici "sfigati" come simpatici pupazzi di autocompiacimento per guardare una volta chiusa la porta, di sera, alla loro perfetta famiglia da cartolina. Un film bellissimo, al di là che voi decidiate di stare con i buoni o con i cattivi, con i vincenti o con gli sfigati, qualsiasi cosa significhi. 

E quando un film ti è piaciuto così tanto è difficile non cedere alla tentazione di dare un voto: 8/10

martedì 27 settembre 2011

CARNAGE: UN DRAMMA BORGHESE


DI: R. POLANSKIFRANCIA, GERMANIA, POLONIA, SPAGNA, 2011
Sembra quasi si tratti del piatto di un grande chef, la sua ultima invenzione. Gli ingredienti sono perfetti: cast di altissimo livello (Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly), una solida sceneggiatura tratta dalla pièce teatrale Le dieu du carnage della drammaturga francese Yasmina Reza, il ridondante "nome" del regista Polanski, la presentazione al Festival del cinema di Venezia...
Tutto inizia per la più grande di tutte le banalità, la lite tra due ragazzini al parco: uno dei due viene colpito al volto con un bastone riportando delle ferite alla bocca e ai denti. I rispettivi genitori raccolti in un appartamento per discutere pacificamente sul da farsi, si "intrappolano" reciprocamente in questo ambiente claustrofobico, sabotando ogni tentativo di "uscita". Il contegno e la messa in scena iniziale delle due coppie vanno in una direzione chiaramente esplosiva: la torta, i tulipani, i libri d'arte ben in vista, l'ostentazione di un successo professionale come avvocato eticamente discutibile; tutto contribuisce a generare un ambiente nauseante che sfocia nel vomito (collettivo) di una grande Kate Winslet. Le due coppie saldamente contrapposte in apertura, iniziano ad essere "mosse" sulla scacchiera da una mano invisibile, che mischia i colori e le posizioni, trasformando la guerra di famiglia e di classe in guerra di genere e di nervi, fino a far saltare qualsiasi possibile alleanza, qualsiasi tipo di accordo, per trasformare questo dialogo perenne, questo gioco al massacro in guerra di tutti contro tutti, compresi se stessi. Tutto molto bello, e tutto già presente, già sviluppato, nello psicodramma della Reza.
Ed è qui che sorge il mio dubbio. Dov'è il film? Che cosa stiamo vedendo? Uno spettacolo teatrale portato sugli schermi per tutti gli spettatori pigri che non hanno avuto voglia/piacere/soldi per andare a teatro? Il cinema come sorta di discount per il consumo massmediatico di quanto di buono viene scritto e rappresentato? Sì, il piatto sarà stato anche ben presentato, ma viste le premesse e visti i mezzi il risultato non è un granché.

lunedì 26 settembre 2011

E A PROPOSITO DEL CINEMA TURCO: "INCROCIO" DI SEMIH DEMIRDElLEN

Non c'è alcun dubbio, la cinematografia turca possiede una carica di originalità ancora tutta da scoprire. Fatta eccezione per il celeberrimo Ferzan Özpetek (autore più italiano che turco, in quanto, sebbene nato in Tuchia, ha costruito la sua intera carriera nel bel paese) negli ultimi anni altri interessanti autori - vedi Fatih Akin de La sposa turca e Soul Kitchen, Tevfik Baser di 40 mq di Germania - si sono imposti sugli schermi italiani e non solo aprendo una breccia su un panorama cinematografico a lungo rimasto sepolto. Ma non basta. Proprio in occasione di "Mamma li turchi", sorta di missione "archeologica" finalizzata alla "scoperta" della "scena" turca, ho avuto modo di assistere alla proiezione di Incrocio di Semih Demirdelen, classe 1969, al suo primo lungometraggio, in cui è autore anche della colonna sonora. 
Guven è un bonario contabile, attaccatissimo a sua figlia e a sua moglie le quali campeggiano in una bella foto sulla scrivania del suo ufficio. Le giornate di Guven sono tutte uguali, maniacalmente scandite da azioni inevitabili e necessarie per tenere insieme i pezzi di un precario equilibrio mentale: Sveglia, lavoro, la telefonata delle 16:00 della figlia, un taxi per tornare a casa, una cena riscaldata e una tv accesa in salotto vuoto. Una collega, Arzu, arriva a sconvolgere questa macchina perfetta (?). La donna insiste per accompagnarlo a casa, inizia pian piano a fare domande, e spinta dalla curiosità arriva a trasformare i suoi dubbi (e quelli dello spettatore) in certezze: Guven è solo. E come scopriremo solo nel finale Arzu non è spinta da un vago piacere ad "impicciarsi", ma attraverso la triste storia di Guven - a cui la sua è tragicamente legata - la donna può ripensare alla propria di vita coniugale e familiare, ancora recuperabile. 
La vita "quadrata" costruita da ciascuno dei protagonisti del film è il frutto di un sistema corrotto da virus: incontriamo il proprietario dell'appartamento di Guven, che terrorizza la moglie e picchia una figlia adolescente, un uomo che ci sembra disprezzabile senza appello, prima di scoprire la sua sofferenza per condizioni economiche disperate e un assassinio che pesa sulla coscienza di ex militare; e incontriamo il silenzioso giovane collega di Guven, l'ultimo a lasciare l'ufficio di sera, che deruba la sua azienda, ma per pagare le spese mediche di una sorella gravemente malata. Tutti i personaggi cercano di sopravvivere come monadi, come nell'oscurità di un incrocio notturno ciascuno cerca di nascondersi allo sguardo altrui, spiandolo, salvo distrarsi e scontrarsi con essi, scoprendo il bisogno di uno sguardo amico.



mercoledì 21 settembre 2011

AGENDA: MAMMA LI TURCHI



In partenza domani a Roma e fino al 25 settembre il Film Festival Turco di Roma sotto il patrocinio del Ministero della Cultura e del Turismo Turco presieduto da uno dei registi turchi più amati nel mondo: Ferzan Ozpetek. Il festival prevede la presentazione di trenta pellicole (lungometraggi, cortometraggi e documentari) di autori affermati come Yavuz Turgul, e di autori   giovani ed emergenti. Dove? Alla Casa del Cinema/Villa Borghese (Ingresso da Piazzale del Brasile). Per avere il programma dettagliato collegarsi al sito:
http://www.casadelcinema.it/resources//Zetema/rassegne/mamma%20li%20turchi/RTFF_programma.pdf

mercoledì 14 settembre 2011

SINGOLARITA' DI UNA RAGAZZA BIONDA



di: M. DE OLIVEIRA.
PORTOGALLO, SPAGNA, FRANCIA, 2009.

La nostalgia del Portogallo si è fatta avvertire immediatamente. Sono tornata solo da pochi giorni, abbastanza per rincorrere il recente e piacevole ricordo di una terra sognante.
Andiamo al cinema...cosa andiamo a vedere? La coincidenza era inquietante e impossibile non assecondarla! C'è Singolarità di una ragazza bionda di Manuel de Oliveira, il maestro portoghese, classe 1908, c'è un treno che va verso l'Algarve, c'è Lisbona...
Spesso la magia del cinema risiede nella sua capacità di trasportarti nell'ignoto, di farti viaggiare attraverso terre, popoli e persone sconosciute, più o meno comprensibili. Ma non sempre l'ignoto riesce a superare il fascino di ciò che è noto, di ciò che si vuole (ri)vedere e (ri)vivere.
Un uomo, Macàrio (Ricardo Trepa) si innamora perdutamente di una ragazza bionda. In principio è un sogno più che una realtà: è solo un'immagine che di tanto in tanto compare nella cornice di una finestra aperta, è una bellissima donna con un bellissimo ventaglio cinese. L'uomo è folgorato: deve sposarla. Ma non ha il permesso dello zio/datore di lavoro, e viene licenziato. Non ha dunque una posizione economica adeguata per affrontare un matrimonio. Si sottoporrà con caparbietà molteplici difficoltà per poter sposare una donna che in realtà non conosce affatto, e pagherà a sue spese questa sua ostinazione.
Un curioso piccolo film (dura circa 60 minuti) in qualche modo sorprendente nel finale. Un film che mi parla dell'ingenuità degli uomini, della loro passione per la bellezza, e dell'incapacità di vedere un cuore e un'anima umana dietro un bel viso. Un bel ventaglio non può essere un motivo sufficiente per innamorarsi. E il contrappasso nel finale è ciò che l'uomo merita per aver ridotto tutto ad una questione economica, ad un'ossessione di ricchezza.