Guven è un bonario contabile, attaccatissimo a sua figlia e a sua moglie le quali campeggiano in una bella foto sulla scrivania del suo ufficio. Le giornate di Guven sono tutte uguali, maniacalmente scandite da azioni inevitabili e necessarie per tenere insieme i pezzi di un precario equilibrio mentale: Sveglia, lavoro, la telefonata delle 16:00 della figlia, un taxi per tornare a casa, una cena riscaldata e una tv accesa in salotto vuoto. Una collega, Arzu, arriva a sconvolgere questa macchina perfetta (?). La donna insiste per accompagnarlo a casa, inizia pian piano a fare domande, e spinta dalla curiosità arriva a trasformare i suoi dubbi (e quelli dello spettatore) in certezze: Guven è solo. E come scopriremo solo nel finale Arzu non è spinta da un vago piacere ad "impicciarsi", ma attraverso la triste storia di Guven - a cui la sua è tragicamente legata - la donna può ripensare alla propria di vita coniugale e familiare, ancora recuperabile.
La vita "quadrata" costruita da ciascuno dei protagonisti del film è il frutto di un sistema corrotto da virus: incontriamo il proprietario dell'appartamento di Guven, che terrorizza la moglie e picchia una figlia adolescente, un uomo che ci sembra disprezzabile senza appello, prima di scoprire la sua sofferenza per condizioni economiche disperate e un assassinio che pesa sulla coscienza di ex militare; e incontriamo il silenzioso giovane collega di Guven, l'ultimo a lasciare l'ufficio di sera, che deruba la sua azienda, ma per pagare le spese mediche di una sorella gravemente malata. Tutti i personaggi cercano di sopravvivere come monadi, come nell'oscurità di un incrocio notturno ciascuno cerca di nascondersi allo sguardo altrui, spiandolo, salvo distrarsi e scontrarsi con essi, scoprendo il bisogno di uno sguardo amico.
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