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lunedì 22 giugno 2009

metablog: critica letteraria/critica cinematografica

Oggi (come ieri) ha senso l'istinto e la pratica della critica cinematografica? E' possibile una specializzazione o un controllo della materia trattata tenendo conto della mole di opere prodotte, della loro reperibilità, della loro digeribilità e comprensione in rapporto al tempo della "visione" e della "lettura"? Rimando ad una lettura capitatami recentemente negli abissi di "Paura e Desiderio" di Enrico Ghezzi, estratto di un articolo pubblicato nel 1985 su Filmcritica.

Alla memoria (dello scrivere di cinema)

[...] la critica cinematografica ha sempre aspirato alla dignità di quella letteraria, o di quella d'arte. Disperatamente accusando - rispetto alle altre "critiche" - una mancanza di sicurezza dei testi cui fare riferimento. In realtà, fondando proprio su tale insicurezza la giustificazione della propria esistenza. Nel caos apparente della produzione, stabilire i testi e qualche differenza tra di essi, fissare giudizi che comunichino la distribuzione in essi dei valori (d'uso, di scambio, d'acquisto). Non è un caso nè una vergogna che periodicamente riemerga la questione delle stellette e delle "palline" nei giudizi: non è spreco assurdo di parole, ma quasi il problema centrale della critica..La trivialità e la volgarità della critica cinematografica deriva in gran parte dallo sforzo che fa per definire e nobilitare la qualità della propria mediazione, per raggiungere un'improbabile aristocraticità.
*Mentre la critica letteraria si esercita sui testi ad essa omogenei e in genere facilmente disponibili (nel tempo e nello spazio) ma magari leggibili con qualche difficoltà o incertezza, quella cinematografica si trova a mediare verso testi in sè fruibili immediatamente da un vasto pubblico ma non sempre raggiungibili nello spazio e nel tempo.
*La raffintezza della critica letteraria può inventare o scoprire l'ambiguità anche nel testo più trasparente; il critico cinematografico, angustiato da parecchie incertezze (di carattere prettamente storiografico e conoscitivo: quante cose ci sono in un film...quanti agganci...quante persone ci lavorano...da dove vengono...dove vanno), è portato più facilmente a distruggere l'ambiguità (che in raltà è propria di ogni immagine cinematografica) cercando di dissolvere le incertezze stesse.
Il tentativo mimetico nei confronti di altre critiche approda quindi a un grottesco, quando si pensa all'impossibilità materiale di "vedere tutti i film", o comunque di studiarli. E i complessi del critico non sono senza motivo. Egli, in linea di massima, ha una scarsa conoscenza dei testi cui si riferisce...del testo filmico, avrà sempre una memoria più che una conoscenza. Oppure, volendo imparare "a fondo" un testo, dovrà vederlo e rivederlo, o addirittura selezionarlo alla moviola alterandone il tempo di visione e dilatando ancor più il dispendio temporale. Senza contare che (ciò che più conta) il film fermato o rallentato in moviola svela i suoi meccanismi ma muore nel suo "tempo di film", muore come oggetto reale di lettura e di studio, resta un corpo freddo da tavolo anatomico, reperto solo allucinatoriamente "scientifico", in realtà puramente immaginario e inesistente.[...]

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