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venerdì 10 gennaio 2014

CHI SONO | IV


Sono nonno Biagio e il suo bastone che quando chiamava sbagliava sempre nome, sono il suo orto a mangiare noccioline e la sua gamba sempre gonfia in un fosso dietro l'ospedale. Sono via Nigli e “Richetta” e quanto mi voleva bene senza dirlo perché non aveva voce, ritardando la mia che a 2 anni ancora non parlavo con la bocca piena di brodo vegetale. Sono Menotti Grombone l'incendiario e il suo fascismo forsennato provocato dal furore dell'unica avventura vissuta in 96 anni, la guerra d'Albania, la prigionia e il ritorno alla consueta zappa, alle solite amanti e alle solite sigarette sul muretto della Chiesa, ai consueti sogni alimentati da una fantasia inesauribile e geniale, di passeggiate coi morti, gatti che parlano, quadriglie, scongiuri e malocchi alla vista di preti e medici e il rifiuto di togliersi il cappello al passaggio dei signori alla messa della domenica. Sono quella bambina costretta con un sorriso e con un abbraccio a cantare Allarmi siam fascisti e Faccetta nera e messa seduta su uno sgabello ad ascoltare quant'era bello il fascismo e sono quella bambina che in fondo ci provava ad assecondare quel pazzoide e stravagante vecchietto che ubriacava i cani, la persona che in assoluto ha più contribuito alla costruzione del suo antifascismo. Sono il mio bisnonno Michele Di Sevo che pascolò pecore e capre per tutta la vita, che ebbe molte figlie che chiamò a 2 a 2 con lo stesso nome perché era così felice d'esser di nuovo padre che beveva fino a perdere la memoria, che mangiò 3 capretti e bevve 15 litri di vino in una notte e si bruciò un piede nel caminetto mentre dormiva per riscaldarsi in una casetta di campagna, per morirne, poi, senza lasciare traccia: di lui non esistono fotografie, né ritratti, né scritti, infatti non sapeva scrivere. Sono la mia bisnonna Giuseppina, che consegnò un maiale troppo magro al suo “padrone” e fu cacciata perdendo anche i soldi della fune che aveva preso a pegno per trascinarlo, e cavò pietre che poi mi sono cresciute dentro. E sono la mia trisnonna Anna Maria sopravvissuta ai primi 100 anni di vita che perse la ragione e diventò un fantasma passando le ore a chiedere una bara. Sono mia nonna Carolina Rizzo che dormiva con le sue pecore di notte ché da sole avevano paura e che ha vissuto due volte la stessa vita, una coi piedi e con le mani l'altra con la testa. Sono la mia infanzia sotto casa all'Aria re lo viecchio, abitata da fantasmi di camion e roulotte di un'officina, e sono Marisa e Anna e il caffè con l'acqua, sono Diego e il suo odore forte che lo senti da lontano con Pina una corda e un triciclo, sono Damiano, le formiche da inseguire, i ragni da stanare, gli squali da catturare e tutto da sognare, sono quelle cantine piene di roba vecchia in cui andare a scappare dalla paura. Sono l'affetto di Nicola Rocco, sono Zammarrelli e la sua bottega di barbiere e di meraviglie, il bar di Lucia, le estati di tornei di tressette e briscola, le tavolate di 30 persone, gli amici di mio padre, Nicola, Mario e le partite della Roma, la noia delle processioni dei santi e le fughe da scuola sulla Tempetella, sono il mare e le grotte di Ascea con Luca che non rivedrò mai più, sono tutto questo verde e l'emozione di un incontro terrificante con un serpente, sono tutto questo sole, la torre di Velia e l'orizzonte, sono questo spazio vuoto e l'emozione di partire, che vaffanculo tutta quest'aria e questo spazio, sono questo ritorno e quest'attesa di ripartire che non avrà mai fine.  

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