Il sabato, quell'attimo di luce riflessa che acceca e ubriaca, è sabato perché intorno a noi è sabato.
C'è qualcuno della tua cerchia, un isolato, che puoi vedere soltanto di sabato, perché lavora [shhh]. C'è un paese intorno che dice che la domenica è il giorno del Signore e la mattina bisogna andare in Chiesa, magari [shhh] a pregare per essere iscritti alla lista d'attesa per il miracolo, il lavoro retribuito. Il sabato è sabato perché è un'ottima scusa per bere, bere come se non ci fosse un domani in cui dire /io non bevo più/. I risultati sono sempre disastrosi. Uscire con l'amico occupato scatena sulla nostra auto-stima una serie di conseguenze a catena difficili da fermare, perché tu che sei un disoccupato con molto tempo libero a disposizione, ti ritrovi a osservare l'aulica perfezione fisica e il brillante accostamento di colori dei suoi vestiti, mentre tu...tu fai pendant con lo sciatto paesaggio alluvionato. Per finire a contare le ore del giorno, chiedendoti come ha fatto ad andare in palestra, dal dentista, dall'estetista, a trovare l'amica che ha partorito, a prendere un caffè con un vecchio compagno di scuola, per vedere l'ultimo film di Tarantino, conoscere la programmazione di Fuori Orario e sapere cosa sta succedendo in Siria, così finisci per chiedergli se per caso non sappia anche cosa hai fatto tu tutta la settimana e qualche consiglio per la prossima /chi hai detto che è il tuo parrucchiere? Ma tanto non lo ricorderai. Nel tuo sabato non c'è speranza né godimento, perché è la domenica il tuo giorno, quello della disillusione, dei postumi, del rinnovato fallimento del proposito di fare qualcosa di domenicale, il giorno della discesa del Signore. Triste triste domenica, questa volta corredata da un difficile lunedì. #Renzi.
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