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giovedì 10 dicembre 2009

Il mestiere del cinema e il cinema di mestiere.



Gli abbracci spezzati
di Pedro Almodovar, Spagna 2009


Storie tra loro apparentemente inconciliabili agli occhi dello spettatore, spezzoni, frammenti che presagiscono un contatto, sesso, amore, segreti sepolti...
Mateo, regista di successo incontra un'aspirante attrice, Lena, moglie di uno squalo della finanza, Ernesto Martel, il quale decide di produrre il film di Mateo in cui sua moglie avrà il ruolo di protagonista, incaricando inoltre il figlio Ernesto, aspirante regista, di girare un documentario sul set, dando sfogo alla propria ossessione per Lena.
Difficile stabilire la natura di questo film e la qualità della fattura, difficile orientarsi fra la tentazione (sensazione) del piacevole estetico-narrativo, dei colori, degli attori, della storia ben congegnata, magistralmente mostrata seppur dietro il velo dell'ordo artificialis; difficile accontentare le evidenti aspirazioni intellettualistiche dell'autore, cedendo al fascino della metafora sul cinema.
Il film riflette su se stesso, entrando nei meccanismi di produzione del film stesso, ed il film nel film contiene un'analisi ossessiva sul suo farsi catturata dalla telecamera di Ernesto, un personaggio-chiave che fa da collante tra i due mondi spazio-temporali, che ne chiarisce la natura tragica, esprime anche il punto di vista più lucido (documentaristico) sulla vicenda, che nell'intenzione dell'autore si pone come metafora della sua stessa vicenda autoriale, un flashback di natura estetica, ma anche una sottolineatura delle proprie ossessioni poetiche. Dunque la narrazione è costruita in modo apparentemente «di significato» ma realmente formalistico, quasi schematico: due uomini, uno cieco (letteralmente e metaforicamente), l'altro sordo (Ernesto ha bisogno di un'interprete per sapere cosa accade tra Lena e Mateo, nonostante abbia tutto sotto gli occhi), vengono utilizzati come reagenti con due donne, l'una amata e amante del protagonista, l'altra innamorata del protagonista e custode della memoria della sua storia; infine due ragazzi/figli, uno rifiutato l'altro ignorato.
Questi personaggi sono tali, o come l'autore vorrebbe far credere fantasmi del mestiere del cinema (Ernesto metafora della produzione sorda alle aspirazioni artistiche degli autori, Mateo cieco alle esigenze finali del cinema e della produzione)?
Burattinaio di questi esperimenti e combinazioni è Almodovar, che in epilogo ammette di non aver fatto altro che rimontare pezzi della sua carriera, frammenti della sua storia, come per riordinarla: è qui dunque il più massiccio aspetto formalistico del film, l'utilizzo del montaggio come tecnica manieristica, esposto come mezzo e come scopo tanto più che mediato da una spinta autoriflessiva.
Spezzoni, oggetti filmici spezzati e rimontati come a costruire la propria metafisica, citazioni e autocitazioni, Donne sull'orlo di una crisi di nervi e Viaggio in Italia, poste lì più per un'esigenza formalistica che per una coerenza interna all'opera; il film appare agire per accumulazione, ma l'abbraccio cervellotico-pirandelliano che l'autore tenta di stabilire tra sé, lo spettatore e la sua opera rimane spezzato, appagando, suo malgrado, l'aspettativa estetico-emozionale dello spettatore.

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