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martedì 10 novembre 2009

L'altra faccia del Rinascimento

...e ridendo l'uccise
di Florestano Vancini
Italia 2005


...E ridendo l'uccise, ultima fatica, testamento di Florestano Vancini (morto a Roma nel 2008) è un film eccellente che pone un sigillo definitivo al carattere e alla storia dell'autore e della sua opera: l'interesse per la storia, l'amore per la sua città, Ferrara, la vocazione didattica, la riscoperta e la diffusione della cultura e dell'identità italiana, caratterizzato da una minuziosa ricerca storica - ambientato a Ferrara all'inizio del 500 - costruita sui dettagli, e potenziata dalla traspirante passione dell'autore per la materia trattata; la definizione dell'ambiente sociale e culturale è tutt'altro che retorica, e non prevalentemente estetica come spesso avviene nei film di costume, ma si alimenta della straordinaria cultura dell'autore e dei suoi collaboratori: il film è una perla di riflessi, arte, musica (Ennio Morricone), letteratura (in particolare riferimenti ed estratti da Ariosto, Matteo Bandello, Antonio Cammelli), linguaggio, costumi, società.
Tutto questo contribuisce a fare di ...E ridendo l'uccise uno dei film più sottovalutati del cinema italiano degli ultimi anni, almeno in patria, dove il film è stato proiettato da uno o due cinema al massimo, questo dopo essere stato realizzato con ingenti risorse, anche pubbliche; non così all'estero dove ha ottenuto un grande successo di critica e pubblico.
La pellicola procede sul filo delle vicende della corte ferrarese degli Este, e delle lotte intestine per il potere tra i quattro figli di Ercole in seguito alla sua morte; sulla materia ufficiale del film si insinuano molteplici fattori che contribuiscono a generare sullo spettatore una visione d'insieme sul microcosmo rappresentato, in un continuo scambio di battute tra la corte e il popolo, in un continuo passaggio di ambientazione, di registri linguistici, scambio costruito appunto come discorso dialettico con tanto di arbitro: il buffone Moschino (un bravissimo Manlio Dovì), coinvolto suo malgrado nei tentativi di conquista del potere da parte dei due congiuranti Giulio (figlio illegittimo di Ercole) e Ferrante ai danni del duca Alfonso (un libertino, assoggettato al forte carisma della moglie Lucrezia Borgia) e del futuro Cardinale Ippolito.
Straordinaio l'epigolo del film, anche in questo caso frutto dell'ispirazione letteraria di Vancini, tratto da una novella del Bandello, autore di numerosi scritti in cui si descrivono usi e scherzi utilizzati dai buffoni per intrattenre i loro padroni. E su questi versi si chiude il film:

Scherzò con lui la morte,
nel transito con lui un pezzo rise,
di poi scherzando e ridendo l'uccise.

da In morte di un buffone di Antonio Cammelli detto "il Pistoia".


Ritroviamo anche in questo capitolo della filmografia vanciniana la capacità di svelare il volto nascosto della storia e di rileggere nell'ufficialità della storia dei potenti (delle corti, degli eroi) i segni marcati e censurati della storia del popolo, degli umili; di abbassare al livello della realtà quanto della storia passata sia stato sublimato o idealizzato.
Così Vancini smascherava il Risorgimento in Bronte, denunciava gli ignavi in La lunga notte del '43, rileggeva lucidamente l'episodio dell'uccisione di Matteotti in Il delitto Matteotti, sempre toccando i nervi scoperti della storia d'Italia, che ancora una volta rimane omertosa.
Da vedere, recuperare, diffondere.


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